Quante volte i pazienti arrivano da me disperati perché, nonostante gli sforzi, non riescono a perdere peso o a sentirsi in forma. Ebbene, una delle responsabili affatto ovvie potrebbe essere l’insulino resistenza. Si tratta di una condizione metabolica sempre più diffusa, spesso precursore del diabete di tipo 2, nonché strettamente legata a obesità, sindrome metabolica e disturbi cardiovascolari. Sapere di questa possibile problematica, comprendere cos’è, riconoscerne i sintomi e affrontarla con una strategia terapeutica adeguata è fondamentale per prevenire complicanze a lungo termine. Oltre che per risparmiare tanto stress. Approfondisco volentieri le cause, i segnali clinici e le migliori terapie per contrastarla, con un approccio come sempre basato su evidenze scientifiche e pratica clinica.


Cos’è l’insulino resistenza
Partiamo dal principio. L’insulino resistenza o iperinsulinemia è una condizione in cui le cellule del corpo – in particolare quelle muscolari, epatiche e adipose – non rispondono in modo adeguato all’azione dell’insulina, un ormone prodotto dal pancreas. Questo porta a una minore capacità di assorbire il glucosio dal sangue, costringendo il pancreas a produrre più insulina per mantenere la glicemia entro limiti fisiologici.
Nel lungo periodo, l’iperinsulinemia compensatoria può esaurire la funzione pancreatica e contribuire allo sviluppo del diabete mellito di tipo 2. La condizione può restare silente per anni (da qui, lo stress e il malessere che attanagliano molti pazienti ignari della causa) ma i suoi effetti metabolici iniziano molto prima che sia diagnosticata una glicemia alterata. Cosa intendo? Tra i principali fattori predisponenti troviamo: sovrappeso e obesità in particolare con accumulo viscerale, il grasso si deposita tutto sull’addome, sedentarietà volontaria e non, alimentazione ricca di zuccheri semplici e grassi trans, fattori genetici e familiari, sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), età avanzata e disturbi del sonno come l’apnea notturna.
Sintomi collegabili all’insulino resistenza
L’insulino resistenza, come appena scritto, può essere asintomatica e non diagnosticata per lungo tempo. Tuttavia, alcuni segni clinici e sintomi possono suggerire la presenza di questa condizione (ed è sempre bene mettere la famosa “pulce nell’orecchio”):
- aumento del grasso addominale (obesità centrale),
- fame persistente, soprattutto per zuccheri e carboidrati semplici
- stanchezza cronica specialmente dopo i pasti
- difficoltà a perdere peso, nonostante dieta e attività fisica
- acanthosis nigricans ovvero un ispessimento e iperpigmentazione cutanea in zone come il collo, le ascelle o l’inguine
- irsutismo e acne nelle donne, spesso in associazione con PCOS
- ciclo mestruale irregolare ( più presente nelle donne con la PCOS)
- ipertrigliceridemia e bassi livelli di HDL (spesso parte della sindrome metabolica)
- pressione arteriosa elevata (spesso parte della sindrome metabolica)
Inoltre, un sintomo spesso sottovalutato è la “nebbia mentale” (in inglese si chiama letteralmente brain fog), caratterizzata da difficoltà di concentrazione e cali cognitivi dopo i pasti: ben oltre, quindi, la classica stanchezza o spossatezza postprandiale.
Come diagnosticare l’insulino resistenza
Non esiste un singolo test diagnostico definitivo per individuare l’insulino resistenza, perché la diagnosi si basa su un insieme di criteri clinici e di laboratorio. Gli strumenti più utilizzati includono l’indice HOMA-IR (acronimo per Homeostasis Model Assessment of Insulin Resistance): è calcolata moltiplicando la glicemia a digiuno (mg/dl) per l’insulinemia a digiuno (µU/ml) e dividendo per 405. Ebbene, valori superiori a 2,5-3 indicano una resistenza insulinica significativa. Un altro metodo è la curva da carico orale di glucosio (OGTT) con misurazione dell’insulina: consente di valutare la risposta insulinica a un carico di glucosio.
Tutto, comunque, può iniziare anche da un’anamnesi piuttosto basilare che comprende la determinazione del profilo lipidico (per verificare trigliceridi elevati e colesterolo HDL basso) e le misure antropometriche (circonferenza vita, BMI e rapporto vita/fianchi). Molto spesso si procede anche con un’ecografia addominale utile per valutare la presenza di steatosi epatica, accumulo di grasso (trigliceridi) nel fegato, frequentemente associata all’insulino resistenza.
La diagnosi precoce è cruciale: l’insulino resistenza può essere reversibile con l’adozione di uno stile di vita sano che comprende attenzione all’alimentazione e all’attività fisica.
Cure e rimedi all’insulino resistenza
Come per la diagnosi, anche l’approccio terapeutico all’insulino resistenza è multifattoriale. L’obiettivo primario per contrastarla sarebbe aumentare la sensibilità insulinica attraverso la modifica dello stile di vita e, se necessario, con l’ausilio di supporti farmacologici o integrativi. Mi dispiace deludere le speranze ma tale patologia non ha una medicina miracolosa è proprio necessario sperimentare, settare il tiro di mese in mese, impegnarsi a 360 gradi.
Alimentazione bilanciata a basso indice glicemico
Assodato l’impegno medico, è l’intervento nutrizionale il pilastro della terapia. Tra le regole fondamentali vi sono evitare picchi glicemici privilegiando alimenti a basso indice glicemico (legumi, cereali integrali, verdure, frutta intera), ridurre i carboidrati raffinati e gli zuccheri aggiunti, aumentare l’apporto proteico (proteine magre animali o vegetali) per favorire la sazietà e il controllo glicemico, privilegiare grassi buoni come quelli contenuti in olio extravergine di oliva, frutta in guscio, semi oleosi e pesce, meglio se di piccola taglia come il pesce azzurro. In più, frazionare i pasti per evitare eccessivi carichi glicemici in un’unica somministrazione. Come si nota, non si tratta di regole complicate bensì di norme che chiunque dovrebbe mettere in atto, tenendo a mente la lista dei cibi da limitare. La tipica dieta mediterranea, settata ad hoc sul paziente, si è dimostrata molto efficace nel migliorare la sensibilità insulinica.
Attività fisica regolare
Al di là dell’alimentazione, anche l’esercizio fisico migliora direttamente la captazione del glucosio da parte dei muscoli indipendentemente dall’insulina. Si punti su:
- allenamento aerobico (camminata veloce, ciclismo, nuoto) almeno 150 minuti a settimana
- allenamento di forza 2-3 volte a settimana, per aumentare la massa muscolare, che consuma più glucosio a riposo
L’attività fisica migliora anche i livelli lipidici e la pressione arteriosa, contribuendo alla riduzione del rischio cardiovascolare.
Integrazione mirata
Alcuni integratori possono supportare il miglioramento della sensibilità insulinica, tassativamente sotto la supervisione del professionista (mi raccomando!). Mio-inositolo e D-chiro-inositolo sono particolarmente utili nelle donne con PCOS. Il Magnesio è spesso carente in soggetti con insulino resistenza. C’è anche l’Acido alfa-lipoico, un antiossidante, gli studi dicono che può essere utile in caso di diabete e prediabete in quanto migliora la captazione del glucosio. È davvero importante evitare l’auto-somministrazione.
Farmacoterapia
Nei casi più avanzati o associati a sindrome metabolica o diabete, può essere indicata la terapia farmacologica. Il farmaco più utilizzato è la Metformina, che riduce la produzione epatica di glucosio e migliora la sensibilità dei tessuti periferici. È spesso il primo passo nella terapia del diabete tipo 2, talvolta impiegata anche nella PCOS in quanto spesso è associata anche l’insulinoresistenza. Se la regola vale per gli integratori, qui è dogma: l’uso di farmaci deve sempre essere prescritto da un medico.
Sonno e gestione dello stress
Il sonno insufficiente (generalmente definito tale se inferiore a 6 ore a notte) e lo stress cronico aumentano il cortisolo, che ostacola l’azione dell’insulina. Per questo, la cura dell’igiene del sonno e l’adozione di tecniche di rilassamento possono essere di grande aiuto.
L’insulino resistenza è una condizione complessa ma gestibile, soprattutto se diagnosticata precocemente. L’approccio vincente è quello integrato: alimentazione, attività fisica, controllo dello stress e – se necessario supporto farmacologico o integrativo. Il ruolo del nutrizionista è centrale nell’impostare un piano personalizzato, scientificamente fondato e sostenibile nel tempo.